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02/01/10

Rapporto sull'università: altro che tre, ce ne vogliono 5 di anni per laurearsi!

Dall'articolo "LAurea triennale? CI vogliono 5 anni" su "il messaggero" del giorno 17 DIcembre 2009, pag.10:

Meno di uno studente su tre è in regola con gli esami. unica nota positiva: diminuisco gli abbandoni.
Il comitato di valutazione: calano matricole e laureati, ma proliferano i corsi.

di Anna Maria Sersale
ROMA (17 dicembre) - Con la riforma una breve schiarita, poi di nuovo il declino. L’Università italiana è malata, i timidi segnali positivi del 2004-2005 sono svaniti. Abbiamo pochi laureati, il numero delle matricole dopo un picco di crescita è in calo: dai 338mila del 2003-04 siamo alle 307mila unità attuali.

I “maturi” che si iscrivono all’università sono solo il 68,4%, contro il 74,5% del 2002-03. Anche le performances degli studenti, che pure avevano registrato qualche miglioramento, ora sono in regresso. I tempi della laurea “breve” si sono di nuovo allungati: in media ai nostri ragazzi occorrono 4,7 anni per raggiungere il titolo triennale, superando del 50% la durata prevista. In sostanza meno di uno su tre è in regola. Unica nota positiva la diminuzione degli abbandoni tra il primo e secondo anno, la percentuale è scesa dal 20 al 17,5%, sostiene Luigi Biggeri, presidente del Comitato nazionale di valutazione che ieri ha presentato il X Rapporto annuale sull’università.

E il numero dei laureati? Per la prima volta dopo tre anni scende sotto la soglia dei 300 mila: sono 293.084 coloro che hanno conseguito il titolo (7.051 in meno). L’altro male endemico è la proliferazione dei corsi: passati da 3.234 del 2001 ai 5.835 del 2007/08. Non solo. Considerando la totalità della popolazione studentesca (1 milione e 800mila iscritti) e considerando che gli «insegnamenti attivi» sono 171mila abbiamo una “materia” per ogni «decina di studenti “virtuali”». Anziché programmare è prevalsa la logica di “sistemare” i professori: «Ci voleva una risposta forte e l’applicazione dei criteri di trasparenza, ma questo non c’è stato», ammette Biggeri. E proprio questa logica ha permesso che nella generale indifferenza si sia arrivati ad avere «369 corsi di laurea con meno di 10 immatricolati» e 17,7% dei corsi con al massimo 15 studenti.

Ci sono ancora 225 Comuni con altrettante università di campanile e un solo corso di laurea (il dato è del 2009), con un piccolo miglioramento rispetto ai 242 che erano. Insomma, il sistema universitario fa autocritica però non si vedono molte vie d’uscita. Anche perché Biggeri fa notare che per ben due volte sono stati emanati criteri per «l’accreditamento dei corsi di laurea» di fatto rimasti sepolti nei cassetti.
Gli atenei fanno resistenza. «Dare regole certe per garantire la qualità è l’unico modo serio per uscire dai problemi - riconosce il presidente della Conferenza dei rettori, Enrico Decleva - Però non si può procedere con la politica dei tagli. Occorrerebbe investire secondo criteri e progetti definiti». Il Comitato riconosce poi che i concorsi sono inquinati da forme di “protezionismo”. «Vincono i gruppi di potere scientifico-disciplinare - dice Biggeri - per questo è necessario programmare gli ingressi dei giovani, per garantire ricambio generazionale e sviluppo di carriere». Quanto la politica sul personale sia stata disinvolta lo testimoniano le cifre: la spesa è aumentata del 4,2%, con punte del 65% al Sud. Un docente su 4 ha più di 60 anni.

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